MASTRO DON GESUALDO di Giovanni Verga

 

MASTRO DON GESUALDO di Giovanni Verga

Mastro Don Gesualdo è uno dei romanzi più celebri di Giovanni Verga. Racconta la vita del protagonista che dà il titolo al romanzo, un uomo che, da modestissime condizioni di nascita, si è “fatto da sè” e arricchito sempre più con il suo duro lavoro, affrontando anche grossi rischi per ottenere buoni affari, con l’obiettivo non solo di far soldi, ma anche di essere accettato all’interno della piccola aristocrazia del paese. É infatti proprio questo obiettivo che lo spinge a sposare una ragazza di nobile famiglia, ma ormai totalmente in rovina dal punto di vista economico, oltretutto compromessa dalla relazione con un altro giovane, al quale la madre impedisce di sposarla proprio perché priva di dote. La ragazza, Bianca Trao, acconsente a sposare Don Gesualdo sapendo di non avere sostanzialmente alternativa, ma chiaramente non lo ama e non lo stima per gli stili di vita completamente opposti a cui sono abituati.

Nel corso della loro vita in comune gli darà anche una figlia (forse proprio frutto della relazione che è stata causa del matrimonio), ma resterà sempre fredda con lui, sia pure corretta. Don Gesualdo, che sperava invece di riuscire almeno a trovare una serenità in quel matrimonio (non amore perché non è uno stupido, ed ha capito benissimo il gioco dei parenti per fargliela sposare), comincia in parte a rimpiangere di non aver sposato la donna con cui aveva avuto una lunga relazione, Diodata, una serva dei suoi poderi, una trovatella, come dice il nome, che però lo amava profondamente e che gli aveva dato anche due figli. Ma naturalmente anche in questo caso Don Gesualdo ha preferito il matrimonio di convenienza che, nei suoi calcoli, avrebbe dovuto introdurlo nella società che conta, e invece non è servito neppure a quello perché i parenti che si credono altolocati continueranno a cercarlo solo quando avranno bisogno di lui, ma lo ignoreranno in tutti gli altri casi, tanto che non si presenteranno neppure al ricevimento di matrimonio.

In un lungo capitolo Verga descrive i possedimenti di Don Gesualdo e tutta la fatica da lui fatta per acquistarli, partendo da quando faceva il muratore, prima con suo padre, poi sotto un padrone che lo pagava meglio, poi da solo, lavorando tutto il giorno, senza pause, mangiando poco, dormendo per terra, sempre con la smania di avere di più. Quando poi finalmente riesce a comprare i poderi desiderati però non riesce a goderseli perché ha sempre da lavorare altrove, perché deve controllare a vista i lavoranti di cui non si fida, perché è sempre in ansia per gli affari azzardati che vuole fare per guadagnare sempre di più, in cui è trascinato dai notabili del paese.

Un altro capitolo doloroso della sua vita è rappresentato dalla sua famiglia di origine: il padre, la sorella con il marito e il fratello, tutti che lavorano per lui, ma che secondo lui lo sfruttano e basta, lavorando poco e volendo molto. Finisce addirittura in lite con il padre, che non gli parla più e con la sorella, che gli fa causa in tribunale per avere quella che, secondo lei, è l’eredità del padre e che invece, secondo Mastro Don Gesualdo è frutto esclusivo del suo lavoro, come infatti gli verrà riconosciuto dal tribunale. Lui da un lato soffre per la mancanza di affetti nella sua vita, e per quella che secondo lui è mancanza di riconoscenza nei suoi confronti, ma dall’altra la voglia della “roba” è troppa, è più forte di lui, lo divora.

Altra delusione, ma non poteva essere diversamente, è la figlia Isabella, che, educata nei collegi di città, lontano dal padre, finirà per vergognarsi di lui, tanto da attribuirsi con le compagne il cognome -nobile- della madre anziché quello suo vero, che denoterebbe le umili origini. Si sposa con un personaggio ambiguo, che la vuole solo per i suoi soldi, e va a vivere a Palermo, dove Mastro Don Gesualdo, ormai solo e vedovo, la raggiungerà per finire gli ultimi tristissimi giorni della sua vita, divorato dall’interno da un fortissimo dolore di stomaco, metafora dalla voglia di “roba” che lo ha mangiato per tutta la vita, impedendogli in pratica di godere almeno un po’ delle sue fatiche per conquistarsela.