LA LUNA E I FALO’ di Cesare Pavese

 

Dopo tanti anni, ormai adulto, torna al paese per la nostalgia di rivedere le sue colline, e tutti, sapendo che ha fatto fortuna e ha un po’ di soldi da parte, cercano di vendergli un pezzo di terra, o di fargli conoscere la figlia, ma la sua vita ormai è altrove, a Genova, tra gli affari della grande città.

Ripensa però ai tempi che furono, alla sua adolescenza, alle feste di paese, quando si bruciavano i falò per ingrassare la terra, e si credeva che fosse la luna a benedire i raccolti: verità o superstizione, chissà. Ne discute col suo amico Nuto, che gli ha aperto gli occhi fin da ragazzo, su quello che è bene e quello che è male, sui padroni che vogliono i contadini ignoranti per comandarli meglio, e gli ha sempre detto che ognuno si fa da sé, figlio di ricco o di nessuno, può perdersi o trovare la sua strada se si dà da fare, se studia, se viaggia, se capisce le cose.

Era stato il contatto con la grande città, infatti, che gli aveva fatto venire voglia di andarsene, quando era militare a Genova, e poi lì era rimasto, aveva frequentato la scuola serale, lavorava e aveva dei contatti con i “comunisti”. In quel periodo già stavano salendo al potere i fascisti e lui era stato costretto a scappare in America perché lo stavano cercando: si scoprirà alla fine del romanzo che questa è stata la vera motivazione che lo ha spinto a scappare.